[2008] Coldplay - Viva la Vida [and Death and all His Friends]
Attesi alla grande prova, la più difficile dopo tre album (troppo?) simili, i Coldplay sfornano semplicemente il miglior (quarto) disco che potessero realizzare.
Il migliore in relazione a molti fattori: la storia e il livello del gruppo, quello che può dare e che ha dato, la voglia di fare qualcosa di diverso, la pressione di fare qualcosa di diverso, la pressione dei Fans, della casa discografica, di tutti. In una situazione difficile, risucire a fare un bel gran lavoro. Non è cosa di poco conto.
E, ora non so in che percentuale, una fetta del merito va sicuramente al caro Brian Eno, qui nelle solite vesti di produttore. C'è un grandissimo lavoro sui suoni, molteplici strati che si sovrappongono e si fondono riuscendo però a non scadere nella sovraproduzione. Basti sentire "A Spell a Rebel Yell" [b-side di Violet Hill allegata al vinile di Nme] che sembra uscire direttamente dalle session di Joshua Tree. Poco più che un esperimento ovviamente, ma cartina tornasole del (notevole) influsso (benefico) di Eno in studio.
Cambiare senza snaturare. Abbandonare la forma strofa - ritornello - strofa - ritornello finale, riuscendo a restare radio friendly per così dire. Ne risulta un disco estremamente variegato, caratterizzato da decise sterzate sonore anche all'interno della stessa canzone, spesso accompagnate da una seconda parte in stile Ghost Track: l'apertura affidata a Life in Technicolor ricorda i Sigur Ros colorati di Hoppipolla, Lovers in Japan è uduica al 100%, mentre il fantasma di Yorke aleggia nel cantato della prima parte di 42. Fino addirittura a una spruzzata di Shoegaze (come se i MbV facessero i Coldplay) in Chinese Sleep Chant (la seconda parte di Yes).
Anche sui testi è stato svolto un gran lavoro, come dimostra tra le altre una delle gemme nascoste del disco, al momento forse il mio pezzo preferito, Strawberry Swing: delicata e "Uplifting", ricordo dei giorni di infanzia, riflessione sulla vita, sugli anni che passano, sul vedere infondo il bicchiere mezzo pieno, perchè alla fine del giro di giostra non è così importante di che colore sia adesso il cielo (non è quello a rendere una giornata, la giornata perfetta), se c'è la gioia del condividerlo insieme alla persona amata (più o meno evidente la sensazione di un testo fortemente personale da parte di C.Martin). Un inno alla vita dunque, alla bellezza del cogliere le cose, assaporandole fino infondo, con un mood positivo e speranzoso.
Grandissimo ritorno ^^
[2008] Sigur Ròs - Með Suð í Eyrum Við Spilum Endalaust
Nelle settimane seguite al Live Fiorentino ho molto ascoltato l'ultima fatica dei 4 folletti d'islanda. Quella che doveva essere una svolta netta, in realtà non si è rivelata tale. Una Progressione diversa semmai. L'album dell'assaporare i colori, dopo anni di paesaggi glaciali. L'album della gioia dell'attimo. Il loro lavoro più fragile, intimo e vulnerabile.
Registrato quasi in presa diretta tra Gennaio e Aprile 2008, per la prima volta, e per buona parte, fuori dall'Islanda, "Con un Ronzio nelle Orecchie Suoniamo all’Infinito" è la logica prosecuzione di quanto seminato con Hvarf/Heim e il progetto "Heima" [a chi non avesse visto il Dvd, consiglio assolutamente di recuperarlo visto che è eccezionale]. I pezzi hanno durata media inferiore al passato, si nota l'assenza praticamente totale della chitarra suonata con l'archetto, in qualche modo c'è una voglia di abbracciare la forma canzone nel suo accento più tradizionale. Nel complesso il suo pregio migliore è quello di poter essere ascoltato tutto, senza skippare una canzone, laddove i precedenti lavori [l'ingiustamente sottovalutato Takk su tutti] potevano risultare dispersivi sulla lunga distanza.
Nell' album convivono tre anime diverse: il lato gioioso e innovativo (le prime quattro tracce, con Gobbledigook in testa), i Sigur Ros più classici, quelli del passaggio centrale di Festival e Ara Batur (Með suð í eyrum la mia preferita), e la coda finale, che sembra quasi uscire dal disco solista di Jonsi (il cantante) con tanto di chitarrina ucustica, urletti e sospiri (che poi è anche la parte più deboluccia e meno riuscita del Cd).
Si contende con Takk un ipotetico terzo posto in graduatoria nella loro discografia, con () e Agaetis staccati in avanti (e probabilmente irraggiungibili).
Bello [ma non disperatamente bello].
Attesi alla grande prova, la più difficile dopo tre album (troppo?) simili, i Coldplay sfornano semplicemente il miglior (quarto) disco che potessero realizzare.
Il migliore in relazione a molti fattori: la storia e il livello del gruppo, quello che può dare e che ha dato, la voglia di fare qualcosa di diverso, la pressione di fare qualcosa di diverso, la pressione dei Fans, della casa discografica, di tutti. In una situazione difficile, risucire a fare un bel gran lavoro. Non è cosa di poco conto.
E, ora non so in che percentuale, una fetta del merito va sicuramente al caro Brian Eno, qui nelle solite vesti di produttore. C'è un grandissimo lavoro sui suoni, molteplici strati che si sovrappongono e si fondono riuscendo però a non scadere nella sovraproduzione. Basti sentire "A Spell a Rebel Yell" [b-side di Violet Hill allegata al vinile di Nme] che sembra uscire direttamente dalle session di Joshua Tree. Poco più che un esperimento ovviamente, ma cartina tornasole del (notevole) influsso (benefico) di Eno in studio.
Cambiare senza snaturare. Abbandonare la forma strofa - ritornello - strofa - ritornello finale, riuscendo a restare radio friendly per così dire. Ne risulta un disco estremamente variegato, caratterizzato da decise sterzate sonore anche all'interno della stessa canzone, spesso accompagnate da una seconda parte in stile Ghost Track: l'apertura affidata a Life in Technicolor ricorda i Sigur Ros colorati di Hoppipolla, Lovers in Japan è uduica al 100%, mentre il fantasma di Yorke aleggia nel cantato della prima parte di 42. Fino addirittura a una spruzzata di Shoegaze (come se i MbV facessero i Coldplay) in Chinese Sleep Chant (la seconda parte di Yes).
Anche sui testi è stato svolto un gran lavoro, come dimostra tra le altre una delle gemme nascoste del disco, al momento forse il mio pezzo preferito, Strawberry Swing: delicata e "Uplifting", ricordo dei giorni di infanzia, riflessione sulla vita, sugli anni che passano, sul vedere infondo il bicchiere mezzo pieno, perchè alla fine del giro di giostra non è così importante di che colore sia adesso il cielo (non è quello a rendere una giornata, la giornata perfetta), se c'è la gioia del condividerlo insieme alla persona amata (più o meno evidente la sensazione di un testo fortemente personale da parte di C.Martin). Un inno alla vita dunque, alla bellezza del cogliere le cose, assaporandole fino infondo, con un mood positivo e speranzoso.
Grandissimo ritorno ^^
[2008] Sigur Ròs - Með Suð í Eyrum Við Spilum Endalaust
Nelle settimane seguite al Live Fiorentino ho molto ascoltato l'ultima fatica dei 4 folletti d'islanda. Quella che doveva essere una svolta netta, in realtà non si è rivelata tale. Una Progressione diversa semmai. L'album dell'assaporare i colori, dopo anni di paesaggi glaciali. L'album della gioia dell'attimo. Il loro lavoro più fragile, intimo e vulnerabile.
Registrato quasi in presa diretta tra Gennaio e Aprile 2008, per la prima volta, e per buona parte, fuori dall'Islanda, "Con un Ronzio nelle Orecchie Suoniamo all’Infinito" è la logica prosecuzione di quanto seminato con Hvarf/Heim e il progetto "Heima" [a chi non avesse visto il Dvd, consiglio assolutamente di recuperarlo visto che è eccezionale]. I pezzi hanno durata media inferiore al passato, si nota l'assenza praticamente totale della chitarra suonata con l'archetto, in qualche modo c'è una voglia di abbracciare la forma canzone nel suo accento più tradizionale. Nel complesso il suo pregio migliore è quello di poter essere ascoltato tutto, senza skippare una canzone, laddove i precedenti lavori [l'ingiustamente sottovalutato Takk su tutti] potevano risultare dispersivi sulla lunga distanza.
Nell' album convivono tre anime diverse: il lato gioioso e innovativo (le prime quattro tracce, con Gobbledigook in testa), i Sigur Ros più classici, quelli del passaggio centrale di Festival e Ara Batur (Með suð í eyrum la mia preferita), e la coda finale, che sembra quasi uscire dal disco solista di Jonsi (il cantante) con tanto di chitarrina ucustica, urletti e sospiri (che poi è anche la parte più deboluccia e meno riuscita del Cd).
Si contende con Takk un ipotetico terzo posto in graduatoria nella loro discografia, con () e Agaetis staccati in avanti (e probabilmente irraggiungibili).
Bello [ma non disperatamente bello].
3 commenti:
(non mi pronuncio)
:> Zao
Maccome non mi pronuncio :D LoL ?
Ciaooooooooo ;_;
già, ma come non mi pronuncio?!
va bè, ricordo il perchè, perdonata!
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