domenica 21 dicembre 2008

In Treatment

One Doctor. Five Sessions. Five Nights a Week.


La Stagione delle SerieTv è iniziata ormai da un bel . In queste ultime settimane più volte ho pensato di farne, come dire, il primo punto della situazione. Sì... di fare un bilancio di questo avvio, chi sale e chi scende, sorprese e delusioni. Il borsino dei Serial. Ma vuoi per l'assenza di parole, per il silenzio nebbioso che avvolge queste mattine, vuoi per l'abbondanza di materiale da catalogare, confrontare, analizzare, e vuoi perchè semplicemente è forse troppo presto, questa idea è rimasta tale. Fluttuante nell'aria.

Così, se questo post arriva, è solo per pronunciare due parole. Dentro di esse un consiglio di visione: In Treatment.

In Treatment è un caso. Un incontro fortuito. La Serie, remake dell'originale israeliano "Be Tipul", è andata in onda sul canale americano HBO [lo stesso di Six Feet Under] a partire dallo scorso Gennaio. La cosa simpatica [ridere per non piangere] sta nel fatto che il progetto, sceneggiato e diretto dal talentuoso colombiano Rodrigo García, fosse stato inizialmente proposto a mamma Rai per l'adattamento occidentale in una sorta di Join Venture tra svariati paesi, salvo poi naufragare davanti al parere negativo di quest'ultima che non riteneva [tanto per cambiare] il format adatto, interessante, degno di attenzione, scegliete pure voi i termini, tanto modificando il loro ordine, il risultato non cambia. Ed è così che l'idea è arrivata sui tavolini della HBO, la quale, intravedendone le potenzialità, ha ordinato prima 5 episodi, poi una stagione completa di 43.

Parlavo di incontro fortuito. E' così. La serie [shame on me] era totalmente sfuggita ai miei occhi. E l'ho recuperata grazie a Sky [canale Cult] che l'ha vista protagonista in questi ultimi mesi dell'anno.

Come descrivere In Treatment...? Con una stanza, un divano e una poltrona. Con lo Psicoterapeuta Paul Weston (uno strepitoso Gabriel Byrne, nominato come miglior attore in una serie drammatica ai prossimi Golden Globes) e suoi pazienti: Laura, la donna ad un bivio della sua vita, Alex, il pilota schiacciato dal peso delle sue azioni, Sophie, l'adolescente problematica, Jake&Amy, la coppia in crisi. E con un ulteriore paziente di eccezione, lo stesso Paul, che sul finire della settimana va a sua volta in analisi da Gina (Dianne Wiest), per anni suo mentore e guida. Ogni seduta (ogni puntata) dura circa 20 minuti e la storia si svolge lungo l'arco di nove settimane, sia nella serie, sia come 9 settimane reali in cui la storia è andata in onda sul piccolo schermo.

Non aspettatevi grande azione o funambolismi a livello registico. Anche l'accompagnamento sonoro è quasi del tutto assente. Il protagonista assoluto è la parola. La parola, il continuo parlare, che riempie ogni puntata. Lo studio di Paul sembra quasi una bolla, uno spazio parallelo, in cui il tempo e lo spazio assumono una valenza diversa. Sembra quasi di galleggiare, in assenza di gravità. Ed è in questa realtà che pian piano emerge la coscienza, il sentire puro della parte più profonda di noi. Di quelle cose che non vorremmo sapere, che non sappiamo o che magari abbiamo costantemente ignorato nel corso degli anni. Non ci sono riempitivi, anche quando si parla di cibo o di una macchina per caffè, tutto sembra avere un senso, tutto sembra avere un inizio e una fine. Come un "Epiphany" continua. Come un rinascere, o una nascere per la prima volta. E questo sbocciare è in qualche modo legato all'acqua, altro elemento conduttore di tutte le puntate. L'acqua è presente nella sigla, nel piovere quasi continuo e in un soprammobile dello studio che dondola ritmicamente allo spostarsi del liquido al suo interno. Acque uguali, eppure diverse.

Da totale profano nei confronti di questo mondo, sono rimasto affascinato dal serial. In un certo senso è come se fossi stato anch'io su quel divano, come se quello fosse il mio divano, quel posto caldo e sicuro di cui ognuno di noi ha bisogno.

Certo, ad alcuni potrà sembrare solo masturbazione mentale (pur ad altissimo livello), un noioso e lento procedere di una non storia che non finisce per ripiegarsi su se stessa. Di sicuro c'è che in Treatment non è una serie per tutti, una serie che chiede molto al proprio spettatore. Più teatro che non televisione. Un viaggio, o un romanzo di formazione. In cui, per una volta, non vengono date risposte, ma indicata la strada, svelato il cammino.

Senza dubbio la mia serie di quest'Inverno :)


"...Non c'è maggiore distanza dello spazio tra due Teste..."

martedì 9 dicembre 2008

...And all that jazz! (Parte 2)

Negli anni '30 New York acquisisce un ruolo centrale che non abbandonerà più, attirando molti musicisti tanto dal Sud quanto dal Midwest, questo grazie all'ambiente favorevole creato dalla compresenza della fiorente industria discografica e dello spettacolo, un'attivissima vita notturna che, ancorché spesso dominata dalla malavita, alimentava numerosissime sale da ballo e locali notturni, e, nel quartiere di Harlem, una folta comunità di colore che stava sperimentando un periodo di relativa prosperità. Verso la metà degli anni '30, anche a seguito dei primi disordini razziali (si ricorda la rivolta ad Harlem nel 1935), New York vide la decadenza dei locali per bianchi nei quartieri neri, tra cui il famoso Cotton Club, mentre le zone attorno a Broadway, alla Cinquantaduesima Strada e al quartiere universitario del Greenwich Village si popolarono di locali che avevano piccole formazioni jazz come attrazione principale. Le stelle di questi locali erano Billie Holiday, Art Tatum, Fats Waller, Coleman Hawkins, Lester Young. Lo stile che nacque in questi locali era rilassato e notturno, esemplificato dall'interpretazione di "Body and Soul" data in quegli anni da Hawkins, che fu anche uno degli strumentisti che resero il sax tenore la voce dominante del jazz.

Dal punto di vista musicale, mentre si afferma sempre di più la figura del solista, il repertorio si orienta in maniera predominante sulla forma della canzone in 32 battute, che può essere un tema originale o, più spesso, essere derivato da canzoni in voga, da musical o da film (non si deve dimenticare che in questi anni sono attivi nell'industria dello spettacolo alcuni formidabili autori, tra cui
George Gershwine il fratello Ira, Irving Berling, Cole Porter, e più tardi Jerome Kern): inizia così la compilazione di un repertorio di brani noti a tutti i musicisti jazz, detti standard che diventerà una delle caratterstiche del jazz per piccola formazione. Di conseguenza la ritmica abbandona i due quarti tipici del periodo di New Orleans ed è sempre più spesso in quattro quarti. Anche lo stile dell'improvvisazione si trasforma: alle variazioni melodiche e tematiche tipiche dello stile di Chicago, si sostituisce gradualmente uno stile verticale, che fa un uso intensivo degli arpeggi sugli accordi che sostengono l'armonia del brano.

Il jazz rappresenta il primo vero genere musicale moderno di ampia diffusione, la cui conoscenza è cresciuta enormemente durante tutto il 1900 rinnovandosi ogni vota nel genere fino ad arrivare nel Nuovo Millennio. Il jazz contemporaneo, così come si è modificato nel corso del Secolo scorso, è caratterizzato dall'uso estensivo dell'improvvisazione, di blue notes, di poliritmie e di progressioni armoniche insolite se confrontate con quelle in uso nella musica classica. In particolare la pulsazione ritmica jazzistica, elastica e a volte scandita in maniera ineguale, chiamata swing, ha sempre rivestito grande importanza in quasi tutte le forme stilistiche di questa musica. Caratteristica peculiare del jazz è senza dubbio l'improvvisazione la quale, partendo dalla semplice variazione sul tema iniziale, ha assunto via via sempre maggiore importanza, fino ad ottenere (nella forma che fu chiamata Free Jazz e che ebbe il suo periodo d'oro negli anni '60 e '70) la completa preminenza sul tema, che poteva anche scomparire negli esperimenti che venivano a volte chiamati "improvvisazione totale collettiva".

La formazione jazzistica moderna tipica è costituita da un gruppo musicale di dimensioni limitate. La combinazione più frequente è il quartetto, quasi invariabilmente costituito da una sezione ritmica composta da batteira, basso o contrabbasso, pianoforte e da uno strumento solista, generalmente un sassofono o una tromba. Nell'ambito della piccola formazione sono possibili e frequenti una gran varietà di cambiamenti. Per quello che riguarda la consistenza numerica, si trovano esempi di performance solistiche (spesso, ma non sempre, si tratta di pianoforte solo), fino ad arrivare al nonetto, formazione che comincia già ad assumere caratteristiche orchestrali. Si hanno anche svariatissime combinazioni per quello che riguarda la qualità degli strumenti coinvolti: si hanno esempi di jazz suonato solisticamente con la maggior parte degli strumenti orchestrali (perfino oboe e arpa) o folcloristici (ad esempio, la kora). Il jazz possiede anche una lunga tradizione orchestrale, che ha avuto come protagonisti musicisti d'eccezione. Le formazioni jazzistiche orchestrali, che entrarono in crisi profonda alla fine degli anni '30, sono oggi abbastanza rare, soprattutto a causa delle difficoltà economiche e organizzative collegate alla gestione di un complesso che comprende molte decine di musicisti.

Per lungo tempo territorio privilegiato dei musicisti afroamericani che lo inventarono, e avente come centro propulsore gli Stati Uniti d'America, il jazz è oggi suonato, composto e ascoltato ovunque in tutto il mondo come una nuova musica colta: se questo è vero soprattutto nel mondo occidentale, è anche vero che le esplorazioni delle radici musicali africane che molti jazzisti intrapresero a partire dagli anni '60 e i contatti tra culture e stili musicali caratteristici dell'ultima parte del XX° Secolo, hanno contribuito a creare molti tipi di jazz, che vanno dalla tradizionale performance per piccolo ensemble, derivato dalle esperienze boppistica e post-boppistiche, alla creazione di sonorità insolite che nascono dalla ibridazione di diverse tradizioni strumentali e musicali, fino ad arrivare a dissolversi nel genere chiamato world music (e in questo caso non si parla più di jazz).

Abbiamo così fatto un altro passo nella storia della musica moderna; la prossima volta che ci incontreremo sarà per parlare della più grande rivoluzione musicale di tutta la storia, la rivoluzione del rock n'roll!

Riferimenti per questo articolo (Parte 1 e Parte 2):
- Ted Gioia, The History of Jazz. Oxford University Press, 1998;
- Arrigo Polillo, Jazz. La vicenda dei protagonisti della musica afro-americana. Mondadori, 1997;

- www.wikipedia.org.

lunedì 1 dicembre 2008

No Line on the Horizon

01. Kitchens of Distinction - Gone World Gone (1992)
02. The Verve - Slide Away (1993)
03. Air Formation - Cold Morning (2007)
04. My Bloody Valentine - Come In Alone (1991)
05. Serena Maneesh - Selina's Melodie Fountain (2005)
06. Silversun Pickups - Melatonin (2006)
07. Fleeting Joys - The Breakup (2006)
08. Ride - In a Different Place (1990)
09. Slowdive - Waves (1991)
10. Airiel - You Kids Should Know Better (2007)

[Un nuovo Ten. Un nuovo Post. Dopo settimane di Silenzio, è ancora la musica a parlare per me. Abbassando lo sguardo per vedere cosa succede sotto di noi. Calpestando foglie ormai prive di vita. Il suono delle onde in lontananza. Bagliori di luce scintillante in questa raccolta Shoegaze. Dedicato a chi, come me, non riesce a vedere e forse mai è riuscita a farlo].