Sogni. Emozioni senza tempo...
Takk... (“Grazie” in islandese), ultimo lavoro (2005) dei Sigur Rós, quarto album in studio, primo dopo il passaggio alla multinazionale Emi, è tutto questo: un insieme di colori e sfumature. Abbandonate le atmosfere cupe e glaciali di “()”, la band di Reykjavík ci regala un disco delicato a tratti quasi gioioso, ricco di spunti interessanti e al tempo stesso summa del loro tipico sound.
Dopo una breve introduzione strumentale, il disco si apre con “Glósóli”, storia di un bambino che, svegliandosi nell'oscurità, va alla ricerca del sole, fino a ritrovarlo lì dove è sempre stato. “Glósóli” riporta alla mente alcuni momenti di “Agaetis Byriun”: inizio silenzioso, quasi un “cullare” leggero che pian piano sale, cresce, fino ad esplodere in un potente ed impetuoso connubio di chitarre e percussioni. Insomma, i Sigur Rós non sono cambiati (per fortuna), sono tornati più maturi e consapevoli, arricchiti da un lungo tour mondiale (il quartetto d'archi Amina è qui presenza fissa), ma, senza dubbio, se non li avete amati sino adesso, non cambierete idea davanti a queste prime note.
Le traccia seguente, “Hoppìpolla”, autentica svolta rispetto alla malinconia soffusa presente in tutte le traccie di “()”, poggia su un tema di pianoforte a cui si aggiungono archi e batteria. Una felice ascesa che sembra poi proseguire in “Meò Blòònasir”, il pezzo più corto dell’intero lavoro (poco sopra i due minuti).
Carillon e violini accompagnano la voce in falsetto di Jonsi in “Sé lest” fino al curioso finale tra trombe e fiati. Giunti alla traccia numero sei, arriva “Sæglópur”, primo vero capolavoro del disco. Dopo l’inizio tutto pianoforte e campanellini, sono ancora le potenti percussioni a spezzare l’andamento del brano: voce che eccheggia in lontananza, quasi un grido di aiuto, una richiesta di speranza che sembra venir accolta nel dolce finale. Difficile descrivere a parole le sensazioni che questa traccia riesce a scatenare nel suo saliscendi tra pieni e vuoti, luci e ombre.
“Mílanó” permette all’ascoltatore di riprendere fiato: dopo il delicato avvio, sembra avvolgersi su se stessa alternando momenti di attesa e riposo ad impennate improvvise (caratteristica di tutto il lavoro della Band). Segue “Gong”, il pezzo più lineare di questo lavoro che stenta a salire e travolge solo nell’inaspettato finale. Si arriva dunque alla conclusione di “Takk” in tre momenti: la malinconica “Andvari” che in chiusura sarebbe stata perfetta; “Svo Hljótt” ballata che unisce i paesaggi di “()” con alcune reminescenze sonore di “Ágætis Byrjun”, piccola gemma e secondo capolavoro dell’opera; “Heysátan” a cui è affidato un finale senza sussulti.
Il viaggio è infine terminato, giunge il momento di dare un giudizio. A chi, come chi scrive, ha amato “()”, non resterà deluso, a tutti gli altri il consiglio di ascoltare “Grazie…” almeno una volta tutto d’un fiato…chissà che non ve ne innamoriate!
Curiosità: Il nome della band (“Rosa Vittoriosa” in islandese) deriva dal nome della più giovane sorella di Jonsi, nata nello stesso giorno in cui la band stessa venne fondata (1994). Si pronuncia in svariati modi: “See oor Rose” (nell’ alfabeto fonetico internazionale) ma anche (non correttamente) “Sigger Ross”, “Sigger Roy-ss” e “Sigg-or Ross”.
Takk... (“Grazie” in islandese), ultimo lavoro (2005) dei Sigur Rós, quarto album in studio, primo dopo il passaggio alla multinazionale Emi, è tutto questo: un insieme di colori e sfumature. Abbandonate le atmosfere cupe e glaciali di “()”, la band di Reykjavík ci regala un disco delicato a tratti quasi gioioso, ricco di spunti interessanti e al tempo stesso summa del loro tipico sound.
Dopo una breve introduzione strumentale, il disco si apre con “Glósóli”, storia di un bambino che, svegliandosi nell'oscurità, va alla ricerca del sole, fino a ritrovarlo lì dove è sempre stato. “Glósóli” riporta alla mente alcuni momenti di “Agaetis Byriun”: inizio silenzioso, quasi un “cullare” leggero che pian piano sale, cresce, fino ad esplodere in un potente ed impetuoso connubio di chitarre e percussioni. Insomma, i Sigur Rós non sono cambiati (per fortuna), sono tornati più maturi e consapevoli, arricchiti da un lungo tour mondiale (il quartetto d'archi Amina è qui presenza fissa), ma, senza dubbio, se non li avete amati sino adesso, non cambierete idea davanti a queste prime note.
Le traccia seguente, “Hoppìpolla”, autentica svolta rispetto alla malinconia soffusa presente in tutte le traccie di “()”, poggia su un tema di pianoforte a cui si aggiungono archi e batteria. Una felice ascesa che sembra poi proseguire in “Meò Blòònasir”, il pezzo più corto dell’intero lavoro (poco sopra i due minuti).
Carillon e violini accompagnano la voce in falsetto di Jonsi in “Sé lest” fino al curioso finale tra trombe e fiati. Giunti alla traccia numero sei, arriva “Sæglópur”, primo vero capolavoro del disco. Dopo l’inizio tutto pianoforte e campanellini, sono ancora le potenti percussioni a spezzare l’andamento del brano: voce che eccheggia in lontananza, quasi un grido di aiuto, una richiesta di speranza che sembra venir accolta nel dolce finale. Difficile descrivere a parole le sensazioni che questa traccia riesce a scatenare nel suo saliscendi tra pieni e vuoti, luci e ombre.
“Mílanó” permette all’ascoltatore di riprendere fiato: dopo il delicato avvio, sembra avvolgersi su se stessa alternando momenti di attesa e riposo ad impennate improvvise (caratteristica di tutto il lavoro della Band). Segue “Gong”, il pezzo più lineare di questo lavoro che stenta a salire e travolge solo nell’inaspettato finale. Si arriva dunque alla conclusione di “Takk” in tre momenti: la malinconica “Andvari” che in chiusura sarebbe stata perfetta; “Svo Hljótt” ballata che unisce i paesaggi di “()” con alcune reminescenze sonore di “Ágætis Byrjun”, piccola gemma e secondo capolavoro dell’opera; “Heysátan” a cui è affidato un finale senza sussulti.
Il viaggio è infine terminato, giunge il momento di dare un giudizio. A chi, come chi scrive, ha amato “()”, non resterà deluso, a tutti gli altri il consiglio di ascoltare “Grazie…” almeno una volta tutto d’un fiato…chissà che non ve ne innamoriate!
Curiosità: Il nome della band (“Rosa Vittoriosa” in islandese) deriva dal nome della più giovane sorella di Jonsi, nata nello stesso giorno in cui la band stessa venne fondata (1994). Si pronuncia in svariati modi: “See oor Rose” (nell’ alfabeto fonetico internazionale) ma anche (non correttamente) “Sigger Ross”, “Sigger Roy-ss” e “Sigg-or Ross”.
Nessun commento:
Posta un commento