One Doctor. Five Sessions. Five Nights a Week.
La Stagione delle SerieTv è iniziata ormai da un bel pò. In queste ultime settimane più volte ho pensato di farne, come dire, il primo punto della situazione. Sì... di fare un bilancio di questo avvio, chi sale e chi scende, sorprese e delusioni. Il borsino dei Serial. Ma vuoi per l'assenza di parole, per il silenzio nebbioso che avvolge queste mattine, vuoi per l'abbondanza di materiale da catalogare, confrontare, analizzare, e vuoi perchè semplicemente è forse troppo presto, questa idea è rimasta tale. Fluttuante nell'aria.
Così, se questo post arriva, è solo per pronunciare due parole. Dentro di esse un consiglio di visione: In Treatment.
In Treatment è un caso. Un incontro fortuito. La Serie, remake dell'originale israeliano "Be Tipul", è andata in onda sul canale americano HBO [lo stesso di Six Feet Under] a partire dallo scorso Gennaio. La cosa simpatica [ridere per non piangere] sta nel fatto che il progetto, sceneggiato e diretto dal talentuoso colombiano Rodrigo García, fosse stato inizialmente proposto a mamma Rai per l'adattamento occidentale in una sorta di Join Venture tra svariati paesi, salvo poi naufragare davanti al parere negativo di quest'ultima che non riteneva [tanto per cambiare] il format adatto, interessante, degno di attenzione, scegliete pure voi i termini, tanto modificando il loro ordine, il risultato non cambia. Ed è così che l'idea è arrivata sui tavolini della HBO, la quale, intravedendone le potenzialità, ha ordinato prima 5 episodi, poi una stagione completa di 43.
Parlavo di incontro fortuito. E' così. La serie [shame on me] era totalmente sfuggita ai miei occhi. E l'ho recuperata grazie a Sky [canale Cult] che l'ha vista protagonista in questi ultimi mesi dell'anno.
Come descrivere In Treatment...? Con una stanza, un divano e una poltrona. Con lo Psicoterapeuta Paul Weston (uno strepitoso Gabriel Byrne, nominato come miglior attore in una serie drammatica ai prossimi Golden Globes) e suoi pazienti: Laura, la donna ad un bivio della sua vita, Alex, il pilota schiacciato dal peso delle sue azioni, Sophie, l'adolescente problematica, Jake&Amy, la coppia in crisi. E con un ulteriore paziente di eccezione, lo stesso Paul, che sul finire della settimana va a sua volta in analisi da Gina (Dianne Wiest), per anni suo mentore e guida. Ogni seduta (ogni puntata) dura circa 20 minuti e la storia si svolge lungo l'arco di nove settimane, sia nella serie, sia come 9 settimane reali in cui la storia è andata in onda sul piccolo schermo.
Non aspettatevi grande azione o funambolismi a livello registico. Anche l'accompagnamento sonoro è quasi del tutto assente. Il protagonista assoluto è la parola. La parola, il continuo parlare, che riempie ogni puntata. Lo studio di Paul sembra quasi una bolla, uno spazio parallelo, in cui il tempo e lo spazio assumono una valenza diversa. Sembra quasi di galleggiare, in assenza di gravità. Ed è in questa realtà che pian piano emerge la coscienza, il sentire puro della parte più profonda di noi. Di quelle cose che non vorremmo sapere, che non sappiamo o che magari abbiamo costantemente ignorato nel corso degli anni. Non ci sono riempitivi, anche quando si parla di cibo o di una macchina per caffè, tutto sembra avere un senso, tutto sembra avere un inizio e una fine. Come un "Epiphany" continua. Come un rinascere, o una nascere per la prima volta. E questo sbocciare è in qualche modo legato all'acqua, altro elemento conduttore di tutte le puntate. L'acqua è presente nella sigla, nel piovere quasi continuo e in un soprammobile dello studio che dondola ritmicamente allo spostarsi del liquido al suo interno. Acque uguali, eppure diverse.
Da totale profano nei confronti di questo mondo, sono rimasto affascinato dal serial. In un certo senso è come se fossi stato anch'io su quel divano, come se quello fosse il mio divano, quel posto caldo e sicuro di cui ognuno di noi ha bisogno.
Certo, ad alcuni potrà sembrare solo masturbazione mentale (pur ad altissimo livello), un noioso e lento procedere di una non storia che non finisce per ripiegarsi su se stessa. Di sicuro c'è che in Treatment non è una serie per tutti, una serie che chiede molto al proprio spettatore. Più teatro che non televisione. Un viaggio, o un romanzo di formazione. In cui, per una volta, non vengono date risposte, ma indicata la strada, svelato il cammino.
Senza dubbio la mia serie di quest'Inverno :)
"...Non c'è maggiore distanza dello spazio tra due Teste..."
La Stagione delle SerieTv è iniziata ormai da un bel pò. In queste ultime settimane più volte ho pensato di farne, come dire, il primo punto della situazione. Sì... di fare un bilancio di questo avvio, chi sale e chi scende, sorprese e delusioni. Il borsino dei Serial. Ma vuoi per l'assenza di parole, per il silenzio nebbioso che avvolge queste mattine, vuoi per l'abbondanza di materiale da catalogare, confrontare, analizzare, e vuoi perchè semplicemente è forse troppo presto, questa idea è rimasta tale. Fluttuante nell'aria.
Così, se questo post arriva, è solo per pronunciare due parole. Dentro di esse un consiglio di visione: In Treatment.
In Treatment è un caso. Un incontro fortuito. La Serie, remake dell'originale israeliano "Be Tipul", è andata in onda sul canale americano HBO [lo stesso di Six Feet Under] a partire dallo scorso Gennaio. La cosa simpatica [ridere per non piangere] sta nel fatto che il progetto, sceneggiato e diretto dal talentuoso colombiano Rodrigo García, fosse stato inizialmente proposto a mamma Rai per l'adattamento occidentale in una sorta di Join Venture tra svariati paesi, salvo poi naufragare davanti al parere negativo di quest'ultima che non riteneva [tanto per cambiare] il format adatto, interessante, degno di attenzione, scegliete pure voi i termini, tanto modificando il loro ordine, il risultato non cambia. Ed è così che l'idea è arrivata sui tavolini della HBO, la quale, intravedendone le potenzialità, ha ordinato prima 5 episodi, poi una stagione completa di 43.
Parlavo di incontro fortuito. E' così. La serie [shame on me] era totalmente sfuggita ai miei occhi. E l'ho recuperata grazie a Sky [canale Cult] che l'ha vista protagonista in questi ultimi mesi dell'anno.
Come descrivere In Treatment...? Con una stanza, un divano e una poltrona. Con lo Psicoterapeuta Paul Weston (uno strepitoso Gabriel Byrne, nominato come miglior attore in una serie drammatica ai prossimi Golden Globes) e suoi pazienti: Laura, la donna ad un bivio della sua vita, Alex, il pilota schiacciato dal peso delle sue azioni, Sophie, l'adolescente problematica, Jake&Amy, la coppia in crisi. E con un ulteriore paziente di eccezione, lo stesso Paul, che sul finire della settimana va a sua volta in analisi da Gina (Dianne Wiest), per anni suo mentore e guida. Ogni seduta (ogni puntata) dura circa 20 minuti e la storia si svolge lungo l'arco di nove settimane, sia nella serie, sia come 9 settimane reali in cui la storia è andata in onda sul piccolo schermo.
Non aspettatevi grande azione o funambolismi a livello registico. Anche l'accompagnamento sonoro è quasi del tutto assente. Il protagonista assoluto è la parola. La parola, il continuo parlare, che riempie ogni puntata. Lo studio di Paul sembra quasi una bolla, uno spazio parallelo, in cui il tempo e lo spazio assumono una valenza diversa. Sembra quasi di galleggiare, in assenza di gravità. Ed è in questa realtà che pian piano emerge la coscienza, il sentire puro della parte più profonda di noi. Di quelle cose che non vorremmo sapere, che non sappiamo o che magari abbiamo costantemente ignorato nel corso degli anni. Non ci sono riempitivi, anche quando si parla di cibo o di una macchina per caffè, tutto sembra avere un senso, tutto sembra avere un inizio e una fine. Come un "Epiphany" continua. Come un rinascere, o una nascere per la prima volta. E questo sbocciare è in qualche modo legato all'acqua, altro elemento conduttore di tutte le puntate. L'acqua è presente nella sigla, nel piovere quasi continuo e in un soprammobile dello studio che dondola ritmicamente allo spostarsi del liquido al suo interno. Acque uguali, eppure diverse.
Da totale profano nei confronti di questo mondo, sono rimasto affascinato dal serial. In un certo senso è come se fossi stato anch'io su quel divano, come se quello fosse il mio divano, quel posto caldo e sicuro di cui ognuno di noi ha bisogno.
Certo, ad alcuni potrà sembrare solo masturbazione mentale (pur ad altissimo livello), un noioso e lento procedere di una non storia che non finisce per ripiegarsi su se stessa. Di sicuro c'è che in Treatment non è una serie per tutti, una serie che chiede molto al proprio spettatore. Più teatro che non televisione. Un viaggio, o un romanzo di formazione. In cui, per una volta, non vengono date risposte, ma indicata la strada, svelato il cammino.
Senza dubbio la mia serie di quest'Inverno :)
"...Non c'è maggiore distanza dello spazio tra due Teste..."
5 commenti:
Paul (il MERAVIGLIOSO Gabriel) fa lo psicoterapeuta!!!andy, quante lezioni ti devo ancora dare??!
comunque, ripasso quando ho visto tutte le puntate!
ps:hai cambiato il sottotitolo al blog già da un po' di settimane eh...mumble mumble...
Ops, vero [e avevo pure cercato per non sbagliare LoL!]. Editato, grazie per la precisazione ;)
Il Sottotitolo già, cambiato da un pò :) [Frase usata da Wilson per descrivere l'"House pensiero" nella quinta stagione (Dr.House) in corso in Usa].
Uuh com'è vera l'ultima frase...
:)
good start
Ho visto la pubblicità Con castelletto su su SKY, sembra interessante...
Ne riparleremo dopo le prime puntiate..
Qualcuno sà dirmi come si chiama il soprammobile che si vede nella pubblicità.
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