venerdì 1 gennaio 2010

Where the Wild Things Are

Lo ammetto: prima di buttare giù queste due righe, me lo sono (ri)visto due volte. Al primo incontro il Film mi aveva lasciato un retrogusto amaro, una sensazione di fastidio, di insoddisfazione, persino di frustrazione. Non so se sia dipeso da me, dal mio approccio sbagliato, o magari dalla altissime aspettative che riponevo nell'adattamento su grande schermo del classico della letteratura infantile anglosassone Where the Wild things Are di Maurice Sendack. Il fatto è che stiamo parlando di un'opera ricca e densamente stratificata. La storia di un bambino, delle sue paure, dei suoi sogni, della sua incertezze, del suo passato e del suo futuro. Una sorta di romanzo di formazione che scarabocchia gli incubi e i sogni che si agitano nelle infinite possibilità dell'infanzia. Ma un racconto per l'infanzia è cosa ben diversa dal raccontare l'infanzia: chi si aspettasse la coesistenza di questi due aspetti come da tradizione Miyazakiana, si scoprirà deluso, persino annoiato [soprattutto nella parte centrale]. Qui siamo di fronte a qualcosa di diverso. Siamo di fronte ad un mondo spoglio, pericoloso, inaccogliente. Che poi è (anche) il risultato di una gestazione lunghissima, di un regista [il talentuoso Spike Jonze] quasi licenziato, di test screeening avvenuti nei primi mesi del 2008 che parlano di bambini quasi terrorizzati. Ora, il Film probabilmente non sarà perfetto, non sarà il capolavoro che in molti davano per scontato [ma come poteva essere scontato realizzare un buon film da una manciata di illustrazioni assimilabili in massimo 5 minuti di lettura ?] ma è un'opera grondante di passione, una rappresentazione visiva magnifica e sognante del mondo di un bambino. Un viaggio dentro il proprio io, in una terra selvaggia fatta di strane creature che in parte sono noi e i nostri sentimenti, in parte sono il nostro stesso mondo, i nostri affetti, le nostre perdite. Sogno e realtà, partenza e ritorno, il viaggio stesso, perché solamente attraversando un mare in tempesta [il mare del nostro cuore e della nostra mente] è possibile crescere, riconoscere le proprie responsabilità, prendere coscienza degli altri ma, prima di tutto, di noi e delle nostre zone d'ombra. In tutto questo c'è spazio per ridere, per piangere, per diventare re (illudendosi di avere uno scudo per la tristezza, grande abbastanza per tutti), per mordere e rischiare di essere mangiati, per fuggire e per rinascere.

In conclusione un film visto e girato dagli occhi di un bambino, ma dedicato a chi bambino non è più da un pezzo. Un adattamento che lascia intatto lo spirito e la magia dell'opera di Sendack, ricco di quel senso di incompiutezza e incompletezza che pervade i suoi personaggi, immerso in tramonti soffusi e melodie agrodolci. Come recita la locandina "C'è una creatura selvaggia dentro ognuno di Noi". Veramente difficile chiedere di più.

[Menzione speciale per i mostri, un pò pupazzi, un pò animatronic che in un'epoca in cui la sola strada percorribile sembra sia la CG, donano al tutto una freschezza e una fisicità inarrivabile. Tanto di cappello ^__^].

2 commenti:

Calanta ha detto...

Bello, l'ho visto ieri sera e sono pienamente d'accordo con te. Anche io voglio lo "scudo per la tristezza"..

WhiTe ha detto...

^____^